Finito. Posso confermare il primo giudizio parziale: "Ohmammamiasantissimaaa"!!!
Giudizio che proverò ora a spiegare meglio, articolandolo in parole, evitando sospiri, imprecazioni, mugolii e grugniti.
Apro il mio commento con una confessione. Avendo, come sapete, divorato i 3 romanzi della serie ambientata nell’antica Roma (40 d.C l’ho persino riletto, cosa che faccio solo in casi eccezionali!), non vedevo l’ora che Adele ci regalasse questa nuova “creatura”. Però, quando mi è capitato di leggere alcune anticipazioni e, in particolare, quella relativa alla menomazione fisica del protagonista, mi son detta “No, non posso leggerlo, non ce la posso fare”.
Ebbene sì, solitamente sono una lettrice ipocrita e superficiale e “pretendo” che i protagonisti (uomini e donne) di un romance siano –issimi, rasentando quasi la perfezione fisica. Ok, qualche difettuccio (cicatrici, nasi importanti etc.) ci sta, ma vere e proprie menomazioni no. Però, poi ho realizzato che Adele riesce ad emozionarmi praticamente anche quando scrive la lista della spesa ed ho pensato: in fondo, chi di noi, “ragazze” degli anni ‘70, non è mai stata innamorata di Capitan Harlock? E, quindi, ho atteso con trepidazione l’uscita de “Il gioco dell’inganno”, vivendo questa lettura un po’ come una sfida: riuscirà questa magica donna a stendermi emotivamente a tappeto un’altra volta, nonostante tutto? Beh, altroché se ci è riuscita.
Oddio, so già che questo commento sarà uno sproloquio lenzuolesco, spero non esageratamente delirante, ma non so da dove iniziare.
La prendo alla larga. Adele conferma questo suo stile vivido, che già in altre occasioni avevo definito sinestetico: al lettore sembra di vedere, udire, toccare, assaporare gusti e profumi come fosse “dentro” al romanzo. A momenti sembra di passeggiare per Venezia – che per me, peraltro, è la città più bella del mondo
-, avvolti nella sua magia e nelle sue nebbie, quasi sentendone le gocce di umidità sul viso, tra le calli deserte o negli sfavillanti e opulenti palazzi, nelle sue notti incantate come nello splendore del mattino, che lascia apparire le sue meraviglie via via che l’impalpabile velo si dirada.
E poi c’è Jacopo Barbieri! Ahahahah!
E che vogliamo dire?!
Cercherò di non essere troppo bassa e becera, quindi mi limito a ringraziare Adele per aver creato questo personaggio straordinario. E anche per avermi fatto ricredere, perché senza questa sua menomazione con ogni probabilità non sarebbe stato altrettanto straordinario. Bellissimo, ma anche terribilmente deturpato; onesto, sensibile e protettivo quanto scaltro, spietato e feroce. Le ferite del corpo e dell’anima lo hanno reso più forte e più profondo.
In lui si fondono e, per tutta la prima metà del romanzo, convivono due archetipi altamente, quanto tragicamente, seduttivi: lo sfregiato (il conte Barbieri – il pirata, il Manfredi della Divina Commedia etc.) e l’uomo mascherato (la baùta – il fantasma dell’opera, V etc.). Lo spartiacque della storia – che divide idealmente il romanzo in due parti – si rintraccia nel momento in cui Jacopo rinuncia ad una delle due identità, per il bene di Lorenza. Entrambe le parti, per me sono state bellissime e coinvolgenti, ma la prima è stata così delicata e struggente da farmi fare nottata. Lorenza nello stesso giorno incontra sia la baùta che il conte Barbieri e da entrambi rimane, in modo diverso, affascinata. Ma poi è della baùta che inizia ad innamorarsi ed è proprio questo innamoramento che ho trovato tanto intenso e struggente. Lei non lo ha mai visto in viso, ma lui è grande e forte ed è lì per tirarla fuori dai guai, più di una volta; conosce la sua voce calda e profonda, benché alterata dalla maschera, la solidità e il calore del suo corpo, il battito del suo cuore.
Non mi occorrevano conferme, ma in questa prima parte del romanzo, secondo me, Adele ha dimostrato la sua bravura nel cesellare attimi di intensa sensualità senza dover ricorrere a nessuna scena di sesso. Anche nella seconda parte, dove il sesso diventa più esplicito, in seguito al naturale evolversi della storia, non ci sono eccessi, non c’è nulla di gratuito o ripetitivo. La prima parte mi è sembrata più intima, nel senso che sembra focalizzata soprattutto sul lento, quasi fragile, germogliare dei sentimenti reciproci di Jacopo e Lorenza; nella seconda prevalgono l’avventura, gli intrighi, i colpi di scena.
Come al solito, mi sono dilungata più sul protagonista maschile, ma in questo caso, più che in altri, siamo di fronte a qualcosa di eccezionale, che troverà posto nel mio personale Olimpo.
Ma ho apprezzato molto anche Lorenza, per il suo essere spesso fuori dagli schemi, per il suo coraggio, la sua capacità di reazione e la sua intelligenza. L’unico aspetto che mi ha leggerissimamente infastidito è la sua
apparentemente innata competenza e disinvoltura nel… ehm…
maneggiare… ehm…
corpi-non-contundenti
con cui non aveva mai avuto familiarità.
Ma, va be’, questo è un “problema” molto personale e che incontro più o meno nel 90% dei romance che leggo… perciò ad Adele posso anche perdonarlo!
Anche i personaggi secondari, tanto i “buoni” quanto i “cattivi”, sono caratterizzati in modo vivido, chiaro, non banale.
Ora mi fermo, ma potrei continuare oltre lo spazio qui consentito. In sintesi, per me, un altro bersaglio centrato da Adele e centrato alla grande. Non so se e fino a che punto il mio giudizio sia legato al fatto che ho appena terminato di leggere questo romanzo, ma ho la netta impressione che, almeno a livello viscerale (delle mie personalissime viscere), superi anche i 3 bellissimi del ciclo romano. Sarà per Jacopo, sarà per Venezia… ma, WOW!
PS: Nel romanzo ho trovato tante scene che rimarranno per me memorabili, ma due spiccano:
quella "della sauna" e quella della "vendetta finale" di Jacopo