Questo libro mi è entrato dentro, tanto dentro, che ho scoperto cose che pensavo di non avere più dentro di me da molto tempo. Si è insinuato nelle viscere, e alla fine faticavo a voltare le pagine, per non doverlo finire.
La Collins ti catapulta nelle pagine e nella storia fin dalle prime battute, e ti ritrovi a soffrire con Katniss nella sua caccia per sfamare la sua famiglia, nella mietitura, nella preparazione alla gara. Il suo personaggio diventa vivido nella mia mente talmente tanto, che fin da subito ho sentito empatia per lei, e ho cominciato a provare le sue stesse sensazioni, come se le vivessi sulla mia pelle. E poi sono state intensissime le sensazioni nell’arena, come se ci fossi anch’io, insieme a Katniss e Peeta, a combattere per la sopravvivenza, ad architettare strategie e a cercare di decodificare quelle degli altri, a soffrire, mio malgrado,
per la morte di altri ragazzi innocenti, che sono comunque avversari mortali.
E a maledire la società, futuristica ma forse neanche troppo lontana dalla nostra, in cui la vita umana vale meno di niente, di fronte a interessi superiori.
Ho amato alla follia Peeta,
e il suo amore cieco e silenzioso per Katniss, che lo porta fin dall’inizio a fare tutto, ogni mossa, ogni parola nell’arena, solo per proteggere lei. Che tenerezza alla fine, mi dispiace che abbia dovuto affrontare una realtà forse troppo crudele per lui.
Dopo molto tempo, poi, mi sono ritrovata a piangere seriamente come una bambina,
per Rue e il suo triste destino, e forse il momento in cui Katniss le canta la ninna nanna è quello più intenso e struggente di tutti.
Non penso che si possa definire questo libro prettamente un romanzo per ragazzi; io sono una donna, e mi ha preso come pochi altri romanzi negli ultimi tempi, e non nascondo che in alcuni punti è talmente crudo e forte, che non so quanto sia adatto a un ragazzino. Ci vuole una bella corazza emotiva per reggere l’intensità di Hunger Games.